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foto del mese: agosto 2013

S. Eligio_S_Eligio

 Chiesa di S. Eligio (interno)

La chiesa di S. Eligio Maggiore si eleva sul limite occidentale di Piazza Mercato, primo edificio angioino a Napoli ed uno dei più insigni modelli di architettura francesizzante dell’Italia Meridionale. Di fronte all’abside vi è una colonna sormontata da una croce marmorea gotica sulle cui facce sono scolpiti il Crocefisso e Sant’Eligio.

La chiesa, insieme al coevo ex-ospedale costituisce uno dei complessi meno apprezzati, se rapportati all’importanza, tra quelli dell’area orientale della città di Napoli. La fondazione risale al 1270, quando Carlo I d’Angiò concesse a tre suoi familiari il terreno per edificare una chiesa ed un ospedale. L’area era in una zona considerata già allora depressa, ma una certa importanza derivava dalla prossimità con la vicina porta del Carmine, una delle principali vie d’uscita dalla città verso l’interno della regione. La tradizione narra che la scelta del nome fu effettuata a sorte tra quelli di tre santi francesi, sant’Eligio appunto, san Dionigi e San Martino.

Tutto il complesso ebbe notevole rilevanza sia nel periodo angioino che in quello durazzesco, ma anche nei successivi periodi aragonese e vicereale. Nel 1546 il vicerè Pedro de Toledo vi aggiunse un conservatorio di giovinette, che prima era a Santa Caterina Spinacorona. Nel 1592 vi fu aperto un Banco, attivo fino al 1806, quando confluì con altri nel Banco dei Privati e poi in quello delle due Sicilie.

Prima nel corso dell’Ottocento, poi nel Novecento l’edificio attiguo alla Chiesa è stato invece via via utilizzato per funzioni diverse che hanno alterato e deteriorato le strutture: caserma, istituto scolastico, ufficio comunale o del Commissario di Governo. Restano due bei chiostri della fine del XIV secolo, con pilastri di piperno; in uno di essi si può ammirare una grande fontana seicentesca. Ai piani superiori resta un ampio salone affrescato da Angelo Mozzillo (1787) con scene dalla Gerusalemme Liberata.

La chiesa, grazie a recenti complessi restauri, ha riconquistato forme quasi originali. In realtà specie alla fine del cinquecento l’edificio aveva subito profonde modifiche anche esterne. Già agli inizi del XVI secolo infatti la facciata principale era sparita all’interno di un modesto fabbricato di uso civile. Fra il 1835 e il 1845 l’interno fu rifatto e ricoperto di stucchi. Nel 1872, Gennaro Aspreno Galante esprimeva così tutto il suo disappunto: “La chiesa, che fino al 1836 mostrava tutte le tracce dell’epoca angioina, ridotta quasi a ruina fu in quell’anno restaurata dall’architetto Orazio Angelini e se ne smarrì non pure la primiera forma, ma gran parte di preziose memorie, solito discapito dei nostri monumenti, sì che è più desiderabile un vecchiume antico che un restauro moderno”. Il 4 marzo 1943 un bombardamento alleato tolse ogni problema distruggendo quasi tutta la chiesa.

Da circa vent’anni la chiesa è stata però restaurata e resa visitabile. All’esterno si possono ammirare le forme gotiche ripristinate nuovamente, con la bellissima abside che volge verso Piazza Mercato. Restano poi dell’originaria struttura l’interessante torre campanaria e il vicino fascinoso arco dell’orologio del periodo angioino-durazzesco (rifatto però in parte nell’ottocento). L’unico ingresso della chiesa è quello laterale destro, subito dopo l’arco, con lo splendido portale strombato del Duecento, unico a Napoli. L’interno a tre navate, cui è stata aggiunta una quarta alla fine del Cinquecento si completa con il transetto e l’abside poligonale. Lungo i lati della navata centrale corrono tre archi grandi con pilastri, sui quali emerge una nuova fila di archi più stretti a sesto acuto. La copertura della navata centrale è a capriate lignee, quella delle navate laterali e dell’abside è invece a volte costolonate.

Tutti muri sono in tufo giallo, mentre le membrature sono in piperno grigio, secondo uno schema tipico delle chiese napoletane tra il “200 e il “400. La quarta navata conserva, rovinatissimi, frammenti di affreschi del “300 di differenti mani. In generale nella chiesa, in origine completamente affrescata, restano solo pochi e danneggiatissimi frammenti pittorici del XIV e XV secolo, tutti rovinati dai bombardamenti del 1943. Sulla parete all’inizio della navata centrale troviamo la monumentale incorniciatura marmorea del 1509, attribuibile all’officina del Malvito, dove un tempo vi era una grande rappresentazione in terracotta dipinta di Domenico Napoletano. Questa importante opera, citata in una famosa lettera del Summonte del 1524 era già andata perduta nel 1700, però alcune teste e ornati furono trovati a seguito degli ultimi lavori di restauro e ora sono conservati nel Museo Civico di Castelnuovo.

Del corredo della chiesa ricordiamo poi una bella Madonna lignea di scuola francese, custodita ora presso il Museo di Capodimonte ed una tavola del fiammingo Cornelis Smet, del 1578, anch’essa custodita a Capodimonte. Perduta invece una tela di Massimo Stanzione che erappresentava i tre Santi francesi Eligio, Martino e Dionigi, che si erano, in origine, contesi il nome della chiesa.
(Giovanni Musella)

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