foto del mese: novembre 2016
Steve McCurry, uno dei più grandi fotografi del mondo da oltre trent’anni attraverso volti e sguardi racconta la storia e la vita delle persone. Al Pan di Napoli di via dei Mille la mostra “Senza confini”, con il nucleo essenziale delle sue fotografie più famose insieme ad alcuni lavori più recenti. Promossa dall’assessorato comunale alla Cultura sarà visitabile fino al prossimo 12 febbraio.
Per Nino Daniele, Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli: “Questa mostra, ponendosi sulla scia delle precedenti esposizioni di arte contemporanea internazionale al Pan | Palazzo delle Arti Napoli, è una nuova e interessante iniziativa, oltre che per la valenza artistica delle fotografie, per la forza dei racconti di Steve McCurry. Una narrazione per immagini dell’uomo contemporaneo nel mondo, nella sofferenza e nella violenza della guerra, nella diversità delle culture e delle etnie, in cui la tragica crudezza della vita raggiunge livelli di lirismo intensissimi che uniscono il cuore e l’anima di chi sta dietro e davanti la pellicola. Una lezione di fotografia e di umanità che ha affascinato dal primo scatto reso noto e continua a catturare invitando ad ammirare l’altro con la stessa curiosità e meraviglia del nostro autore”
La foto fu scattata per il National Geographic in un campo profughi di Peshawar nel 1985 ai tempi dell’invasione russa. Essa ritrae l’orfana dodicenne Sharbat Gula . L’espressione del suo viso, con i suoi occhi di ghiaccio, resero ben presto l’immagine celebre in tutto il mondo e divenne una sorta di simbolo dei conflitti afgani degli anni ottanta e simbolo della sofferenza di un’intera generazione di donne afgane. Nel 2002 Steve McCurry tornò nel campo profughi di Nasir Bagh in Pakistan, dove era stata originariamente scattata la foto. Lì tra migliaia di donne nascoste dal burqa, il team di National Geographic ritrovò quella ragazza, Sharbat Gula, oggi madre di famiglia. Per avere la certezza dell’identità di Sharbat, National Geographic si avvalse di tecniche di alto livello scientifico come l’analisi dell’iride e il metodo del riconoscimento facciale sviluppato dall’FBI. La National Geographic Society ha, inoltre, deciso di creare in nome di Sharbat Gula uno speciale fondo di assistenza per le donne afghane che lavorerà in collaborazione con organizzazioni umanitarie e con le autorità locali per l’implementazione di programmi di assistenza.
Steve McCurry è nato il 24 febbraio 1950 in un piccolo sobborgo di Philadelphia in Pennsylvania. Ha studiato fotografia e cinema, per ottenere poi una laurea in teatro nel 1974.
Dopo aver lavorato per due anni negli USA, partì per l’India come fotografo freelance (indipendente). È stato proprio in India che McCurry ha imparato a guardare ed aspettare la vita. “Se sai aspettare“, disse, “le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto.
La sua carriera è inziata quando, travestito con abiti tradizionali, ha attraversato il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, controllato dai ribelli poco prima dell’invasione russa. Quando tornò indietro, portò con sé rotoli di pellicola cuciti tra i vestiti. Quelle immagini, che sono state pubblicate in tutto il mondo, sono state tra le prime a mostrare il conflitto al mondo intero. Il suo servizio ha vinto la Robert Capa Gold Medal for Best Photographic Reporting from Abroad, un premio assegnato a fotografi che si sono distinti per eccezionale coraggio e per le loro imprese.
McCurry ha poi continuato a fotografare i conflitti internazionali, tra cui le guerre in Iran-Iraq, a Beirut, in Cambogia, nelle Filippine, in Afghanistan e la Guerra del Golfo. Egli è il destinatario di numerosi premi internazionali.
McCurry si concentra sulle conseguenze umane della guerra, mostrando non solo quello che la guerra imprime al paesaggio ma, piuttosto, sul volto umano. Egli è guidato da una curiosità innata e dal senso di meraviglia circa il mondo e tutti coloro che lo abitano, ed ha una straordinaria capacità di attraversare i confini della lingua e della cultura per catturare storie di esperienza umana. “La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità”.
Le foto in mostra raccontano un percorso: da una selezione di bianco e nero dei suoi primi scatti in Afghanistan, quando nel 1979 immortalò i mujaheddin ribelli contro l’invasione russa, passando per il crollo delle Twin Towers e il Giappone dopo lo tsunami, fino ai più recenti, in parte inediti.
Durante la presentazione della mostra a chi gli ha chiesto di Napoli, ha risposto: «E’ una delle città più affascinanti d’Italia, forse del mondo. E’ molto poetica, ha personalità, è una città unica. Mi piacerebbe tornare per uno studio. Nelle altre città non sempre c’è l’anima che ha Napoli.»