foto del mese: gennaio 2017
L’opera (cm 44 x cm 44) rappresenta una donna seduta su un trono con inserti d’orati. Ha il busto coperto da un tunica parzialmente avvolta da un mantello bianco con orlo azzurro chiaro. Sul capo reca un diadema e porta collana ed orecchini. Accanto a lei, una giovane appoggiata col gomito sul bracciolo del sedile. É vestita con abiti sontuosi ed é elegantemente acconciata. Ella rivolge lo sguardo ad una terza fanciulla che un’ancella sta pettinando, abbigliata con una lunga tunica violacea orlata con balza di tono piú scuro ricamata in oro, una sopravveste chiara e un mantello poggiato sulla spalla sinistra, ricadente lungo il braccio.
Le sacerdotesse ebbero un ruolo preponderante nell’ambito dell’attività della poleis, fondando dei veri e propri collegi, che si radicarono in varie città greche, tra cui Napoli. Cicerone nell’opera Pro Balbo riporta che le sacerdotesse votate al culto di Cerere venivano scelte principalmente a Napoli o a Velia, zone della Magna Grecia in cui questi culti mantennero per diverso tempo le caratteristiche originarie. La Chiesa di San Gregorio Armeno di Napoli, anche conosciuta come Chiesa di santa Patrizia, pare sia stata edificata sulle rovine del tempio di Cerere. In effetti, Napoli conserva nei suoi vicoli ombrosi le tracce della presenza di sacerdotesse di Cerere.
Una lapide murata in una parete presso la chiesa di San Paolo ricorda il nome di una certa Cominia Plutogenia, sacerdotessa di Cerere; scomparsa dalla chiesa, essa fu ritrovata intorno al XIX secolo in un palazzo al civico 62, tra Via dei Tribunali e Piazza San Gaetano. Quest’area, che in tempi remoti si vuole occupata da un tempio dedicato ad un’importante divinità femminile come Cerere, la greca Demetra, secondo Stazio avrebbe dato origine anche ad un culto misterico. In definitiva sullo spazio oggi occupato dalla chiesa di San Gregorio Armeno sarebbe sorto il tempio e nelle vicinanze sarebbe stata ubicata la casa dove venivano formate le sacerdotesse al culto di Cerere. Tutte le ragazze erano scelte esclusivamente tra le figlie delle più importanti famiglie della città. Le sacerdotesse, capeggiate dalla nobildonna Tettia Casta consorella di Cominia Plutogenia che sembrava discendesse dalla stirpe procreatasi dall’unione di Ade e Persefone, erano famose e molto apprezzate. Poche purtroppo le tracce archeologiche di quell’antichissimo e misterioso culto rinvenute fino ad oggi con l’eccezione di una canefora posta accanto alla bottega al numero civico 13, sotto la torre del campanile che fa da ponte tra gli edifici, individuato da Bartolomeo Capasso nel 1905.
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É probabile che in questo luogo era situata l’aula mistica dove le sacerdotesse e le serve di Demetra consumavano l’agape sacra per le nozze e le vicende di Persefone che sembra avessero dato origine al ciclo delle stagioni.
Le “pietre di Napoli” confermano il ruolo non marginale della donna, ricordandoci costantemente il passato di una città antica. Inolte, al Museo Archeologico di Napoli è conservato un reperto raffigurante una sacerdotessa isiaca con acconciatura “a melone”, in atteggiamenti che richiamano il rituale delle cerimonie della dea egizia.
L’opera (cm45 x cm24) rappresenta una sacerdotessa isiaca con acconciatura a melone stante di prospetto a piedi nudi, indossante una lunga tunica con pallio appuntato e ricadente sulla spalla sinistra. Nella mano sinistra levata ha il sistro, con la destra al seno regge invece un piatto con le offerte. Sullo sfondo una colonna dietro cui sono un’ara ed un basso muro. Fondo rosso.
Tra storie di Sibille di Sirene e di Dee in nessun luogo è tanto marcato il rapporto tra la donna, l’esoterismo e la città di Napoli, madre da cui è difficile staccarsi.