foto del mese: agosto 2019
Le mura del Convento del Carmine, nel corso dei secoli, si sono impregnate delle storie di uomini che hanno testimoniato le loro idee con la vita e si sono rivestite di narrazioni che sanno arrivare al cuore di chi ha desiderio di conoscenza. E l’anima di questo scrigno, che appartiene all’intera città, è un giardino a cielo aperto circondato da un corridoio coperto, delimitato da arcate. Uno spazio silenzioso e intimo che riesce a far riflettere sulle ragioni profonde della vita e sa nutrire lo spirito senza distinzione di sesso, età o religione.
Le immagini delle pareti con gli anni erano diventate sempre meno nitide e meno leggibili. Era come se, un opaco velo, sempre più spesso, volesse coprire con le figure le storie rappresentate quasi a difenderle da chi neanche si accorgeva della loro presenza.
Quando si è presi da se stessi non c’è spazio per altro o altri: finiamo per parlare tutti e non avendo chi ci ascolta per parlare a noi stessi. L’ascolto è alla base dell’accoglienza e l’accoglienza alla base dell’apertura all’altro e alla sua conoscenza; senza conoscenza non c’è l’altro ma neanche noi stessi. Mi era sembrato che quella coltre che copriva gli affreschi del chiostro fosse mentale prima che fisico.
Ora, con i restauri appena terminati, c’è la possibilità di vedere e vederci, ricominciare a costruire quella storia fatta di sogni comuni partendo dalle radici. I sogni singoli se non coinvolgono l’altro finiscono per diventare incubi e l’altro l’individuo da cui difendersi.
Per la tradizione alcuni monaci, per fuggire dalla persecuzione dei saraceni in Palestina, vennero a Napoli, portando un’immagine della Madonna da essi venerata sul monte Carmelo. Fu concessa loro una piccola cappella dedicata a San Nicola situata presso la marina fuori la città; vi si stabilirono e collocarono l’immagine della Madonna in un luogo detto “la grotticella”.
Il primo documento storico che riporta la presenza dei carmelitani a Napoli è del 1268, quando i cronisti del tempo Il luogo di decapitazione di Corradino di Svevia nella piazza antistante la chiesa di Santa Maria del Carmine.
La basilica santuario del Carmine Maggiore, una delle più grandi basiliche di Napoli, risale al XIII secolo. Il Chiostro originariamente serviva da luogo di ricreazione dei frati e la sua costruzione segue quella della chiesa. I chiostri del Carmine erano due: il Chiostro Piccolo e il Chiostro degli Affreschi
Il chiostro piccolo risalente al 1466 e conseguente all’ampliamento del complesso religioso lungo l’area che si estendeva verso il mare, era di forma quadrata con lato di 25 metri. La struttura fu usata, in seguito, come carcere militare e successivamente come scuola di guardie carcerarie e caserma. Con l’edificazione di via Marina, questo, andò distrutto e oggi, dalla strada, sono ancora visibili i resti dei suoi vecchi archi rinascimentali.
Il chiostro, detto degli affreschi, il cui ingresso è all’immediata sinistra della chiesa basilicale, fu eretto verso la fine del XVI secolo: un periodo di rinnovamento dell’intero complesso, ai tempi del governo di don Pedro Afán de Ribera duca d’Alcalà, vicerè di Napoli dal 12 giugno 1559 al 2 giugno 1571. I dipinti sono opera di Giovanni da Pistoia e Francesco Balducci da Firenze. Altri affreschi sono stati realizzati grazie alle offerte dei fedeli della zona; essi raffigurano i cicli pittorici dedicati ai santi patriarchi Elia ed Eliseo e dei santi carmelitani Angelo, Cirillo, ecc.. Sulla prima ala sono raffigurate le nove storie di Elia, mentre sulle facce interne dello stesso portico, vi sono sedici raffigurazioni a grandezza naturale dei più illustri rappresentanti dell’ordine carmelitano. Il successivo ciclo pittorico, caratterizzante le storie di Eliseo, raffigura anch’esso, i prodigi del profeta.