foto del mese: novembre 2014
La mostra allestita al Museo del Tesoro di San Gennaro di Napoli nell’ambito del Forum Universale delle Culture sarà visitabile fino al 31 dicembre 2014. Tutti i più grandi “tesori” della Napoli angioina per la prima volta riuniti in una grande esposizione curata da Pierluigi Leone de Castris e organizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli. L’evento consente di ammirare i più pregevoli manufatti in metalli preziosi del cosiddetto “secolo d’oro” della storia artistica, civile, politica e culturale della città partenopea. Dal 1266 al 1381, Napoli divenne per la prima volta, con l’instaurarsi della dinastia francese degli Angiò, una vera e propria capitale, una delle città più grandi e più popolose d’Europa, importante crocevia tra le regioni d’Oltralpe e il Mediterraneo, cuore di un regno autonomo e potente, sede di una corte sfarzosa e sofisticata, centro pulsante di una feconda cultura artistica e letteraria.
Dopo un tour itinerante in Italia e all’estero di alcuni preziosi oggetti della collezione, il museo di S. Gennaro ha inaugurato in ottobre la mostra “Ori, argenti, gemme e smalti della Napoli angioina (1266-1381)” un evento che cerca di dare il giusto lustro ad un periodo storico, dove l’arte, la letteratura, l’architettura e la politica collocarono il regno angioino, ma principalmente la città di Napoli, al centro di un vortice europeo, crocevia tra le regioni d’Oltralpe ed il Mediterraneo che vide impegnata la città sin dai primi giorni del nuovo regno (1266) in una produzione artistico-culturale di grande respiro.
Con i sovrani Carlo I e Carlo II, prima e, con Roberto e Giovanna I dopo, a cavallo del Trecento, nella capitale del regno si consolidò un percorso di grande valenza storica e culturale che vide arrivare finanche Giotto e la scuola toscana a testimoniare la grandezza raggiunta dai regnanti francesi.
Nella fattispecie l’esposizione si sofferma sull’arte orafa, la cui commessa principale per ordine di importanza fu quella del busto reliquario conservato all’interno della Cappella del Tesoro, realizzato per volere di Carlo II tra la primavera del 1304 e quella del 1305 da un gruppo di maestranze francesi molto attive sul territorio e che erano sopraggiunte insieme ai nobili, gli architetti, gli artisti e tutti coloro che avrebbero potuto tenere insieme, incisivamente il dominio ed il ruolo dei francesi d’oltralpe.
Il culto di San Gennaro a Napoli è viscerale, basta entrare nella cappella del tesoro e per restare abbagliati dalla profusione di argenti e materiali preziosi per non parlare poi delle opere e degli affreschi che decorano l’architettura tra le più fastose della città. Accanto al duomo, dove è ubicata la cappella, sorge il museo dedicato al Santo ed all’ingente patrimonio accumulato nel corso dei secoli in suo onore.
Gli artisti portarono con se tradizioni e tecniche introducendo nei primi giorni lo stile gotico già esploso in Francia con le cattedrali e che ben presto si fuse con la già fertile scuola locale, dando vita a capolavori di indiscussa originalità, alcuni dei quali sono presenti in mostra a testimonianza di quella fervida produzione, che purtroppo per sua stessa natura (piccola e preziosa) è in buona parte andata perduta.
Alla base di questo miscela di esperienze ci fu la presenza documentata già nel 1269 di maestri orafi francesi che venivano regolarmente stipendiati con le provisioni per gli orafi del re (come era scritto nei documenti purtroppo distrutti durante i bombardamenti del ’43 e per nostra fortuna già in buona parte trascritti dagli studiosi a partire dalla fine dell’Ottocento) e poi la volontà di costituire un nucleo produttivo direttamente sul territorio (che determinò la nascita del Borgo Orefici nel cuore della città di Napoli, un luogo deputato sin dagli albori alla produzione dei manufatti preziosi di cui ancora oggi vi è testimonianza nei laboratori artigiani).
Le opere in mostra (seppur solo di ambito orafo) sottolineano quello scambio costante di idee, pensieri e culture lungo le rotte del Mediterraneo che fecero grande la capitale del regno angioino che ne mutò architettonicamente il volto. Basti pensare a tutti gli edifici religiosi, alle chiese di San Lorenzo (che rappresenta da sola la completa aderenza alle regole francesi del gotico più puro), Santa Chiara, Donnaregina, San Pietro a Majella, San Domenico Maggiore e la Cattedrale solo per citarne le più note.
Tra le produzioni orafe che annoveravano sia opere religiose (per un mirato scopo politico) che quelle private, estremamente lussuose, una delle principali testimonianze presenti in mostra è rappresentata dal busto-reliquiario dedicato proprio a quel Santo a cui si sono votati i napoletani, custodito e generalmente esposto all’interno della sua cappella.
Realizzato in argento sbalzato, fuso, cesellato, inciso e dorato è decorato con pietre preziose e semipreziose e smalti champlevé (che riproducono i gigli angioini sul busto), fu commissionato da Carlo II d’Angiò a quatto orafi francesi del suo atelier di corte; il maestro Etienne, Godefroy, Milet d’Auxerre e Guillame de Verdelay che, percepivano complessivamente ogni due mesi uno stipendio di 9 once oltre a i materiali necessari per l’opera (per un totale pagato alla consegna di 31 once e undici tarì). Il busto del Santo dovette rappresentare per la dinastia sicuramente una grande operazione di carattere politico-religiosa e la data conclusiva dei lavori, il 1305, con molta probabilità rappresenta un significativo omaggio al millenario del martirio di San Gennaro, decapitato a Pozzuoli (vicino Napoli) nell’anno 305. L’opera rappresenta anche un importante esempio di scultura medievale, infatti, il volto imberbe del santo, le rughe profonde sulla fronte ed il segno marcato intorno agli occhi, nonché la bellissima e movimentata voluminosità dei capelli ricci cesellati a rilievo intorno alla calotta liscia del cranio (apribile in origine per custodire le reliquie), fanno pensare che possa trattarsi anche di un ritratto vero e proprio forse di un membro della famiglia reale.
Custodito da sempre nel Tesoro al santo dedicato, il busto è descritto in un inventario del 1592/95: “In primis la testa del glorioso san Gennaro d’argento indorato con il busto seu corpo similmente d’argento indorato guarnito, et ornato di diverse pietre, incastrate in argento non depresso et con diverse insegne con li gigli et rastrello con la mitra (questa è la testimonianza della presenza dell’altro capolavoro custodito nel Tesoro, la Mitra del Santo impreziosita da 3894 pietre preziose, diamanti, smeraldi e rubini, esempio unico ed emblema dell’arte barocca) sopra detta testa tutta coverta et guarnita di perle et delle medesime pietre incastrate in argento con li pendenti similmente guarniti di perle, et in detto corpo vi mancano molte pietre”. Dalle origini, il busto per nostra fortuna è rimasto pressoché intatto e, l’unico intervento di manomissione subito, risale al 1647, quando fu apposta una base in argento sbalzato.
Il busto-reliquiario, dalla veneranda età di oltre Settecento anni (insieme alle ampolle che contengono il sangue del martire) viene solennemente portato in processione ogni anno, il sabato precedente la prima domenica di maggio, lungo le strade del centro antico, dalla cattedrale fino alla basilica di Santa Chiara, pantheon angioino con le tombe reali di Roberto d’Angiò e i suoi parenti. Una storia che si ripete e che richiama in causa quel tempo di antichi sovrani e di grandi splendori.
liberamente tratto da: https://assolocorale.wordpress.com/2014/10/14/la-meraviglia-e-gli-splendori-della-napoli-angioina/