foto del mese: gennaio 2016
Un migliaio di frammenti appartenenti ad una straordinaria macchina in terracotta policroma, provenienti dalla Chiesa di S. Eligio a piazza Mercato furono ritrovati, negli anni sessanta, all’interno di murature e nello scavo della pavimentazione.
“Un gran lavoro, pure di plastice nella cappella delli Lanii, di mano di mastro Dominico Napoletano, persona ingegnosissima”. Così Pietro Summonte, nel 1524, descrive al veneziano Marcantonio Michiel la cona della corporazione dei Lanii (odierni macellai), che sorgeva nella chiesa di Sant’Eligio.
L’umanista napoletano, dotato di rara sensibilità artistica, riconosce l’eccellente qualità della pala e non tralascia di elogiare l’autore. Più superficiale è il commento del cardinale Gesualdo, che l’ammira durante una visita pastorale nel 1599. In linea con lo spirito e le prescrizioni del Concilio di Trento, il resoconto della visita è molto accurato, ma non fa che esaltare la ricchezza dell’altare e degli arredi liturgici. La cona fu commissionata agli inizi del cinquecento dalla ricchissima corporazione dei Lanii, macellai, per la loro cappella in S. Eligio. Di questa cappella rimane in loco il portale d’accesso in marmo attribuita alla bottega dei Malvito, che reca la data 1509.
Probabilmente molto danneggiata da un terremoto o da un incendio, fu smontata e rimossa dalla collocazione originaria alla metà del settecento.
Un grave incidente, identificato col rogo di Piazza Mercato (1781), distrusse la grande macchina di terracotta che fu smontata e rimossa dalla collocazione originaria e i cui frammenti furono riciclati come materiali di scarto.
Infine, come se il tempo non avesse già infierito abbastanza, il 9 marzo 1943 la chiesa di Sant’Eligio viene sventrata da una bomba. I marmi si frantumano, gli stucchi si inceneriscono, restano in piedi le sole mura perimetrali in tufo e piperno. Nessuno più spera di rinvenire la Cona dei Lanii, quando improvvisamente si apre uno spiraglio: mentre l’arch. Zampino libera l’arco di accesso alla cappella dei Lanii, nella muratura spuntano dei frammenti di terracotta con tracce di colore. Roberto Pane e Gennaro Borrelli riconoscono la pala di Domenico Napoletano, firmata e datata 1517, e provano a ricostruire la fisionomia dell’artista. Il primo dato che emerge è una forte componente classicista, ispirata all’arte ellenistica, che non era estranea agli scultori lombardi attivi a Roma, come Andrea Bregno e Gian Cristoforo Romano (è stata rilevata una stretta analogia fra i busti di Beatrice e Isabella d’Este, di Gian Cristoforo Romano, e le Sibille di Domenico Napoletano). Un’altra componente essenziale è costituita dall’aggiornamento in chiave leonardesca e raffaellesca, che si riflette in quel gioco di sguardi, di gesti, di bocche dischiuse, di dialoghi silenziosi che definiscono i rapporti fra le figure. Un ultimo elemento cui prestare attenzione è la fitta e minuta decorazione che riveste le lesene, i capitelli e le cornici, secondo un motivo tipico della tradizione lombarda.
Alcuni frammenti della grande cona d’altare in terracotta, dipinta di Domenico Napolitano, raffigurante Profeti e Sibille, sono stati restaurati e conservati presso il Museo di San Martino di Napoli.
Fonti:
http://www.romaconsorzio.it/restauri/cona/intro.htm
http://www.marcodimauro.org/vulgo.net-29.01.02.pdf