foto del mese: settembre 2017
Nato il 15 ottobre del 70 a.C. vicino a Mantova, precisamente nel villaggio di Andes, Virgilio portò a termine la propria formazione oratoria studiando eloquenza alla scuola di Epidio, un maestro importante di quell’epoca. Lo studio dell’eloquenza doveva fare di lui un avvocato e aprirgli la via per la conquista delle varie cariche politiche. L’oratoria non era congeniale alla natura di Virgilio, uomo riservato e timido, e dunque quantomai inadatto a parlare in pubblico. Nella sua prima causa come avvocato non riuscì nemmeno a parlare. Per questo motivo Virgilio entrò in una crisi esistenziale che lo portò, non ancora trentenne, a spostarsi dopo il 42 a.C. a Napoli, per recarsi alla scuola dei filosofi Filodemo e Sirone per apprendere i precetti di Epicuro.
« Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua rura duces
« Mi ha generato Mantova, il Salento mi rapì la vita, ora Napoli mi conserva; cantai pascoli [le Bucoliche], campagne [le Georgiche], comandanti [l’Eneide]»
Questa celebre iscrizione funebre, posta sulla tomba di Publio Virgilio Marone, si trova alle spalle della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta in un parco sulle pendici orientali del promontorio di Posillipo. Secondo una leggenda questa frase sarebbe stata dettata dallo stesso Virgilio in punto di morte.
Publio Virgilio Marone ha prediletto Napoli, fonte di ispirazione e cultura, città in cui ha vissuto gli otia giovanili.
Illo Vergilium me tempore dulcis alebat Parthenope studiis florentem ignobilis oti
In quel tempo me, Virgilio, nutriva la dolce Partenope, sereno fra opere di un’oscura quiete
Georgiche IV, 563-564
Il poeta mantovano conclude con questi versi l’ultimo dei quattro libri delle Georgiche, viva celebrazione della campagna, contro la corruzione e il lusso cittadino, in un periodo travagliato dalle guerre civili, per attestare l’affettuoso legame con l’ospitale terra partenopea.
Il piccolo parco dove si trova la tomba di Virgilio, ha un nome nome greco Pausilypon (“pausa del dolore”) dato alla splendida villa romana che sorgeva sulla collina per indicare la pace e la quiete ivi esistenti.
All’entrata del parco, imboccando il viale che sale con più rampe lungo le pendici collinari, si trova un’imponente edicola fattavi collocare nel 1668 dal viceré Pietro d’Aragona, contenente due iscrizioni nelle quali si ricorda anche la presenza della tomba virgiliana. Nei pressi, in una grande nicchia sulla parete, si trova un busto di Virgilio su colonnina, omaggio nel 1931 degli studenti dell’Accademia dell’Ohio. Alla fine della seconda rampa, su uno spiazzo a destra, è l’area dedicata alla tomba di Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1838), un monumento che dal 1939 accoglie le spoglie del poeta, qui traslate dall’antica Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta (oggi scomparsa), insieme alle lapidi ora murate sulla retrostante parete tufacea . Salendo ancora, si giunge alla piazzola davanti l’ingresso orientale della Crypta Neapolitana, una delle più antiche gallerie del mondo, scavata in età augustea per facilitare i collegamenti tra Napoli ed i Campi Flegrei.
La posizione di rilievo del mausoleo funerario che domina l’ingresso sul versante napoletano della Crypta, attesta sicuramente l’importanza di chi vi fu sepolto e ciò ben si coniuga con la lunga tradizione partenopea che associa Virgilio Marone alla città di Napoli ed alla grotta in particolare con un vincolo plurimo e complesso. Già in epoca antica, infatti, circa un secolo dopo la morte del poeta, il luogo divenne sacro per i suoi ammiratori e fu a lungo tema letterario e meta del turismo colto, come per Stazio, Plinio il Giovane e Silio Italico, il quale aveva cura di «adire ut templum» al sepolcro virgiliano, celebrando il 15 ottobre l’anniversario della nascita del poeta. Quasi senza interruzione di continuità, della tomba riferiranno nei secoli successivi letterati, cronisti e viaggiatori, italiani e stranieri, tra i quali Petrarca, Boccaccio e Cino da Pistoia rappresentano fonti di preziose informazioni.
Dal XII secolo, alle testimonianze letterarie cominciarono ad aggiungersi anche le leggende, forse già esistenti nella tradizione orale locale e solo allora registrate in testi scritti. Tuttavia, sull’autenticità del sepolcro continuano a sussistere controversie e dubbi, anche in riferimento a quanto affermato da Elio Donato (secolo IV d.C.), biografo di Virgilio, secondo cui il poeta fu sepolto al II miglio della via Puteolana, un’ubicazione che per alcuni, invece di corrispondere all’area attigua alla strada romana che attraversava la grotta in direzione di Pozzuoli, si riferirebbe a luoghi diversi e più distanti (Villa Comunale, Piazza Amedeo, falde del Vesuvio, ecc.). La tradizione popolare, però, ben riassunta nella ‘Cronaca di Partenope’ (secolo XIV), non ha dubbi sull’identificazione: in questo mausoleo giacque Virgilio, assurto a divino protettore di Napoli e magico creatore della Crypta, i cui resti, poi, all’epoca della conquista normanna, furono trasferiti e murati in un luogo nascosto in Castel dell’Ovo, per evitare che un così prezioso simulacro venisse sottratto alla città, vanificandone la funzione protettiva.
Il mausoleo funerario, edificato in opus reticulatum agli inizi dell’età imperiale, è del tipo a colombario con tamburo cilindrico su un basamento quadrangolare, in cui è ricavata la cella funeraria a pianta quadrata con volta a botte, illuminata da feritoie e dotata di dieci nicchie per ospitare le urne cinerarie. Nota anche come “Grotta vecchia di Pozzuoli”, questa galleria fu costruita in età augustea dal liberto Lucius Cocceius Aucto, architetto di Agrippa ed ammiraglio di Ottaviano, secondo Strabone (V, 4, 6) artefice anche del Portus Iulius, della “Grotta di Cocceio” e della Crypta romana a Cuma. Menzionata nella Tabula Peutingeriana (una carta con itinerari stradali di epoca tardo imperiale) e ricordata oltre che da Strabone anche da Donato, Seneca, Petronio ed Eusebio, il cunicolo risulta scavato interamente nel tufo per una lunghezza di m 705, una larghezza originaria di m 4,50 ed un’altezza ca. m 5,00, rischiarata e ventilata da due pozzi di luce obliqui.
La scarsa visibilità all’interno della struttura portò già durante il vicereame spagnolo alla realizzazione di un sistema di illuminazione costituito da lanterne sorrette da funi tese tra pali; nel 1806, con Giuseppe Bonaparte, vi si installarono due file di fanali tenuti costantemente accesi, mentre dalla metà dell’Ottocento si utilizzarono fanali a gas, di cui uno risalente alla fine del secolo, rinvenuto nei recenti lavori di risistemazione. In seguito alle opere di allargamento ed abbassamento del piano stradale, nonché di pavimentazione eseguite in più fasi da Alfonso d’Aragona nel 1455, da don Pedro di Toledo nel 1548, da Carlo di Borbone nel 1748 e dal Comune di Napoli nel 1893, la grotta ha perso buona parte della sua antica fisionomia. Ai lati dell’ingresso sono tuttora visibili due nicchie affrescate: quella di sinistra con una raffigurazione di Madonna con Bambino databile al XIV secolo, quella di destra con il volto dell’Onnipotente di incerta datazione.
Petrarca nell’Itinerarium Syriacum ricorda una cappella di piccole dimensioni denominata di Santa Maria dell’Idria, realizzata da un eremita proprio nei pressi dell’ingresso alla grotta. Durante il restauro aragonese o nel corso dei lavori eseguiti all’epoca del vicereame spagnolo, vi fu rinvenuto il bassorilievo in marmo bianco con la raffigurazione di Mitra datato tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C., ora conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Testimonianze relative al dio orientale Mitra sono note in Campania a partire dal II secolo d.C., in contrapposizione al sempre più diffuso cristianesimo. La presenza del rilievo nella Crypta ha fatto pertanto ipotizzare l’eventualità che ci si trovi di fronte ad un luogo di culto mitriaco: il mitreo, infatti, è solitamente identificato nello spelaeum, la caverna cosmica, all’interno della quale, fin dalle più antiche testimonianze iconografiche, è raffigurato il sacrificio del toro. É probabile che i culti misterici abbiano influenzato non poco la superstizione popolare, che alla grotta ha sempre associato qualcosa di misterioso e magico, al punto che il solo attraversarla indenni era considerato un vero e proprio miracolo.