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Anno Scolastico 2018/2019: Anno dell’Acqua

“Senz’acqua non fiorisce la terra; né l’anima senza lacrime.”  (Nicolò Tommaseo)

Il deserto del Namib[1], arido da oltre 80 milioni di anni, viene considerato come il  deserto più antico del mondo. Le immense dune di sabbia rosse, arancione e giallo oro, che finiscono direttamente a mare, i laghi salati, gli alberi ormai secchi, regalano paesaggi unici e fantastici. La nebbia, che si alza ogni giorno dall’Oceano Atlantico sulle dune e sulla costa secca, riesce a far sopravvivere vegetali come gli alberi di sughero e i cespugli di uva selvatica e animali come il tasso e la mangusta gialla. I cerchi delle fate (fairy circles), formazioni di sabbia perfettamente circolari, prive di vegetazione e circondate da un anello di erba alta, presenti in questi luoghi, raccontano storie e alimentano leggende.

Per il popolo Himba rappresentano le impronte del loro Dio Mukuru che porta la pioggia e guarisce i malati. Un’altra leggenda di questo popolo sostiene che i cerchi delle fate sono creati dal respiro velenoso di un drago che vive nel sottosuolo

 Il gas sale in superficie ed uccide le piante presenti nei cerchi. Per gli scienziati[2] dipende dalle termiti: si nutrono delle radici della vegetazione che cresce dopo le piogge stagionali. L’erba, priva di radici, non assorbe e non fa traspirare più l’acqua, che, di conseguenza, si raccoglie sotto la sabbia. In questo modo il sottosuolo rimane umido e le termiti riescono a sopravvivere anche durante i lunghissimi periodi di siccità. La forma dei cerchi delle fate deriva proprio da tale attività: man mano che le termiti consumano la vegetazione, e i nidi di questi animali si sviluppano dal centro verso l’esterno, si delinea questa tipica struttura ad anello. L’erba che si trova nella parte esterna al cerchio cresce, mentre quella interna muore a causa dell’assenza di radici. Questo fenomeno origina la cornice degli anelli, ne spiega in maniera scientifica la formazione, mette in ombra il lavoro del drago degli Himba e il suo impegno a disegnare la terra. I cerchi delle fate sono il risultato di un espediente che piccoli esseri viventi come le termiti adoperano per poter sopravvivere in un ambiente ostile, utilizzando quella preziosa risorsa, fonte di vita, che è l’acqua.

[1]Il deserto del Namib si estende in Africa meridionale in Namibia, con un breve tratto anche in Angola e nella  Repubblica Sudafricana.

[2]Il ricercatore tedesco Norbert Jürgens, dell’università di Amburgo, ha pubblicato uno studio a tal proposito sulla rivista Science (The Biological Underpinnings of Namib Desert Fairy Circles Science  29 Mar 2013)

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            Scheletro di acacia nel deserto del Namib meridionale, in Namibia.

                                Cerchi delle fate nel deserto del Namib, in Namibia.

                                                                                           

   “Spendiamo milioni e milioni per cercare acqua su Marte e non facciamo niente 
per conservarla qui e per cercarne di più per quelli che hanno sete”.  (José Luis Sampedro)

Il Burkina Faso[1], situato nel cuore dell’Africa occidentale, con un clima arido e una stagione delle piogge di breve durata, è uno dei paesi più poveri al mondo. La popolazione, pur vivendo in condizioni difficili, è vivace e fattiva ed ha una grande voglia di impegnarsi e di lavorare. Per potersi rifornire di acqua, la maggior parte delle famiglie deve fare molta strada per poter arrivare alle fonti. Sono soprattutto i bambini che, nel Burkina Faso, tutti i giorni sono impegnati in questo cammino dell’acqua. Si alzano presto ma non vanno a scuola, perché per la  scuola occorre quel denaro che la famiglia non possiede. I genitori coltivano la  terra e lavorano nei campi solo nel breve periodo estivo delle piogge, quando il  miglio ed il riso possono crescere. Quello che riescono a produrre in quel  periodo deve bastare tutto l’anno e se non basta si cuoce l’erba, le foglie, le  radici, tutto quello che ci si può inventare per sopravvivere. Gafaru e i suoi fratelli hanno il compito di andare a prendere l’acqua. L’acqua si va a prendere al pozzo, che non è tanto vicino. Gafaru spinge un carretto di ferro con le ruote di gomma, pieno di taniche di plastica. Un fratello invece può usare la bicicletta e porta una tanica per volta. La bicicletta è arrivata per la sorella; lei ha avuto una adozione che le ha permesso di studiare e di ricevere in regalo quella bicicletta al termine del corso di istruzione. Qualche famiglia più fortunata, con maggiori disponibilità economiche, ha un piccolo asino da attaccare al carretto. Il cammino per andare a prendere l’acqua è faticoso ma bello; ogni volta Gafaru incontra amici, parla con loro, raccoglie racconti. Oltre ai bambini anche le donne sono impegnate in questa occupazione. Quando si incontrano al pozzo si aiutano a vicenda a girare la ruota durissima della pompa: le ragazze parlano della loro vita e dei loro sogni. Vicino al pozzo ci sono rigogliosi alberi di mango alla cui ombra si possono riposare prima di riprendere il viaggio con le taniche piene d’acqua. Il pozzo è lontano quasi quattro chilometri e Gafaru con il carretto ci mette quasi tre ore. La strada va fatta nelle ore in cui il caldo è meno violento  perciò  al massimo riesce a fare due viaggi al giorno. 

[1]Liberamente tratto da “Il cammino per l’acqua” di Luciano Mazzucco http://www.ospedalinburkina.com/l-acqua.html

                Le donne al pozzo si aiutano a girare la ruota durissima della pompa

                     Trasporto dell’acqua su un carretto di ferro con le ruote di gomma

“L’acqua è un diritto di base per tutti gli esseri umani: senza acqua non c’è futuro. L’accesso all’acqua è un obiettivo comune. Esso è un elemento centrale nel tessuto sociale, economico e politico del paese, del continente, del mondo. L’acqua è democrazia.” (Nelson Mandela)

In molti paesi poveri serve acqua per cuocere il poco cibo che c’è. Serve acqua per lavare i vestiti che si indossano, spesso poco più che stracci. Serve acqua per gli adulti, acqua per dar da bere ai bambini. Ma l’acqua non c’è. E allora, come ogni giorno, bisogna mettersi in viaggio per un cammino che non è solo per l’acqua ma è per la sopravvivenza.

“Laudato sii, mi Signore, per sor’Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.” (Francesco d’Assisi)

L’acqua è composta da due gas, Idrogeno ed Ossigeno, ed ha  come formula chimica H2O. L’acqua è il componente principale degli organismi. Nei tessuti umani la sua percentuale va dal 20% delle ossa all’85% delle cellule cerebrali. Circa il 70% del nostro peso corporeo è dovuto all’acqua ma in alcuni viventi, come le meduse, può arrivare fino al 95%.       

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 “Mi feci tante domande che andai a vivere sulla riva del mare  e gettai in acqua le risposte per non litigare con nessuno”. (Pablo Neruda)

Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli – essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei. (Lao Tzu antico filosofo e scrittore cinese del I secolo d. C. )

 Quest’anno abbiamo scelto l’Africa per parlare delle nostre radici più profonde, per meditare su un elemento che ci attraversa e ci contiene e che nell’immaginario collettivo è moto ed equilibrio ma anche caos e compostezza.

Il tema Acqua per questo anno scolastico è stato scelto dai giovani studenti delle classi quinte del plesso Umberto I del nostro Istituto. Grazie.

_A_S 18_19 Anno_Acqua_d  (Versione Completa)

 

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